DOLORE – Relazioni personali: come si gestisce una relazione, di coppia, quando si vive nel dolore?
Va da sé, per molti di voi, questo argomento sarà una parte speciale di questa miniserie. Si può affrontare tutto nella vita, ma le relazioni personali, di tipo sentimentale, non sono escluse dalle nostre vite, anche se il dolore è presente in modo continuativo, nel nostro vissuto quotidiano.
Chiaro: ci sono diverse situazioni che si possono presentare, ed a seconda della quale, le cose possono farsi più, o meno, complicate. Di per sé, il dolore, non è un impedimento ad una relazione affettiva, salvo nei casi lo sia nella testa della controparte: in quel caso, le cose si fanno poco gestibili. Andiamo però per punti vedendo, intanto, le macro situazioni che si possono presentare:
Non abbiamo una situazione sentimentale in essere, e siamo convinti che, nella nostra situazione, non l’avremo mai.
Si presenta la possibilità di una relazione affettiva dopo che abbiano scoperto di soffrire di dolore cronico.
L’insorgere, del dolore cronico, avviene quando abbiamo già una relazione, sentimentale, in essere.
Sono solo tre punti, ma devo dire che ci sarà da parlare per un po’ di tutti e tre i casi. In primo è particolarmente dolente come situazione, perché non c’è nulla di peggio che convincersi che una cosa non sia fattibile!!
PRIMO CASO:
Non abbiamo una situazione sentimentale in essere, e siamo convinti che, nella nostra situazione, non l’avremo mai.
Per fortuna questa situazione è quella meno frequente: vuoi perché la sindrome da dolore cronico colpisce soprattutto adulti, ma dalle statistiche fatte attraverso le persone conosciute con il mio problema, l’insorgere della patologia avviene in una età in cui, non dico si sia già sposati con figli, ma quanto meno, in una fase della nostra vita, in cui si abbia una relazione già in piedi. Nel caso così non sia. però, si aggiunge un problema al dolore di per se stesso: ossia la convinzione che nessuno ci vorrà, se siamo conciati cosi male!
Ora: non dico che la nostra malattia non influirà sulla possibilità di creare un rapporto di coppia, ma sicuramente il fatto che noi possiamo esserne convinti complica, di non poco, la situazione. In effetti il pensare che nessuno ci vorrà, sarà il primo grande ostacolo, ad una possibile relazione con qualcuno: se non ci crediamo noi, perché mai dovrebbe crederci lei, o lui che sia?
In effetti, in questo tipo di situazione il più grande ostacolo, ad una eventuale relazione, siamo noi stessi: le nostre paure di non essere all’altezza, del fatto che lei/lui presto non reggerà più le limitazioni, dovute alla nostra situazione; insomma tutte quelle paure che possono essere più che naturali, quando si presenta la possibilità di una relazione nelle nostre condizioni, sono quello che più può farla naufragare, prima ancora che prenda il largo!!
Quindi, siate positivi: soffriamo di una patologia, ma questo non vuol dire che ci sia vietato avere una relazione; non va in porto con la prima occasione? Va bene: il mondo è pieno di persone singole in cerca di un/una compagno/a!! Per cui, avanti tutta ed aspettiamo la situazione nuova che si presenterà, perché fidatevi: succederà; e di solito accade quando meno ve lo aspettate!!
Su una cosa dovete porre particolarmente attenzione: non dovete abbattervi!! Incrocerete anche delle persone afflitte dalla sindrome della crocerossina, è inevitabile per chi è nella nostra situazione.
Se percepite questa situazione, dateci un taglio subito. Questo genere di persone, per quanto sembrino davvero interessate a voi come persona, in realtà, per problemi psicologici loro, hanno bisogno di trovare una persona in difficoltà. Purtroppo, però, sono persone che non cercano qualcuno a cui dare amore: hanno bisogno della persona in sofferenza solo ed esclusivamente per soddisfare il loro bisogno di sentirsi realizzati.
Di sicuro non è il genere di persona che fa per noi: alla lunga si adatterebbero bene alla situazione in essere, ma altrettanto velocemente si assuefarebbero alla situazione in corso e, non più soddisfatte, cercherebbero un altro soggetto, in situazione peggiore, o comunque diversa, così da avere davanti una nuova sfida per loro.
È brutto a dirsi, ma questo genere di persone va assolutamente evitata: abbiamo già i nostri di problemi da gestire, non ci serve dover gestire anche quelli degli altri, per i quali —gli altri— saremmo solo un mezzo temporaneo per soddisfare le loro, di necessità, senza che questo le coinvolga davvero, sentimentalmente!
Altro punto importante: il nostro comportamento nei confronti di chi si approccia a noi offrendo, o sperimentandone la possibilità, di un rapporto sentimentale, e più in generale verso le relazioni, anche solo interpersonali. Credo sia piuttosto chiaro, che nessuno vorrebbe relazionarsi con una persona che si piange addosso, dalla mattina alla sera, per la propria condizione.
Mi rendo conto che sia facile, cadere in depressione, specialmente all’inizio di questo genere di patologia: non per nulla qualsiasi terapista del dolore, nella vostra terapia inserirà un antidepressivo, senza nemmeno chiedervi se vi serva o meno; ma nel caso, nonostante l’antidepressivo, sentiate che le cose non vanno, che tendiate a piangervi addosso, o che, con chiunque siate, vi rendete conto di portare quasi sempre le argomentazioni di chiacchierata, sulla vostra situazione medica, allora, per esperienza diretta, vi consiglio di affidarvi ad uno psicologo: è chiaro, da questo tipo di atteggiamento, che se ne abbia di bisogno.
Chiedere aiuto ad uno psicologo, cosi come avete fatto per il terapista del dolore, non fa di voi una persona debole, o fuori di testa. Fa di voi una persona intelligente, e saggia, che sa riconoscere quando necessita di un aiuto. D’altro canto, se ci pensate, non sarebbe così strano che gli amici si allontanino, se quando vi incontrano, l’unico argomento di discussione sia il vostro stato di salute… sarete d’accordo con me presumo!
Quindi: cercate di essere obbiettivi sul vostro comportamento prima di fare danni e trovarvi isolati dagli amici abituali: parlare della propria malattia non è assolutamente vietato, anzi più gli amici ne sanno e meglio sapranno come rapportarsi con noi, ma non deve diventare l’unico argomento di confronto, o vi troverete soli domandandovi come mai siete rimasti soli!
SECONDO CASO:
Si presenta la possibilità di una relazione affettiva, dopo che abbiano scoperto di soffrire di dolore cronico.
Sicuramente crederci aiuta molto: si deve essere consci dei proprio limiti, ma non crearne di nuovi. Se una persona dimostra interesse per noi, non dobbiamo evitarla con l’intenzione di non creare loro situazioni da cui poi vorranno fuggire. Di certo, almeno in casi come il mio, chi ci sta conoscendo ha ben presente che abbiamo delle limitazioni per cui, se dimostra un progressivo avvicinamento verso di noi, non dobbiamo assolutamente rifiutarla a priori.
Solo il tempo dirà se quella persona riuscirà, davvero, a gestirci per come siamo, con i nostri pregi ed i nostri difetti —ok definire il nostro dolore cronico un difetto forse non è cosa vi aspettavate, ma avete capito cosa intendo, suvvia!— quindi non ha senso negarci una possibile reazione, perché in futuro potrebbe non reggere il nostro continuo malessere. Lasciate che sia l’istinto a dirigervi, lasciate che, l’affetto che vi dimostra la persona, possa avvolgervi come una comoda copertina di Linus, insomma: lasciate che vada come deve andare!
Seppur veniste da una relazione terminata, per la vostra condizione di dolore cronico, non potete scordare che le persone sono tutte diverse: come reagisce una persona, non comporta che tutte le altre reagiscano allo stesso modo, mi pare piuttosto evidente come concetto.
Quindi siate ben certi di aver concluso la relazione precedente prima, e poi lanciatevi nell’accettare un eventuale affetto da una nuova persona. Credo sappiate meglio di me, che una storia che inizia, con una relazione conclusa ancora non risolta, può portare solo a grossi complicazioni.
Quindi: come regolarsi se ci accorgiamo che una persona si sta avvicinando a noi sempre di più, e questa persona ci piace? Direi nello stesso modo in cui l’avreste fatto prima di ammalarvi: la nostra malattia non inficia, né nostre capacità di relazionarci, né di avere relazioni. Spesso usiamo la nostra malattia per giustificare i nostri insuccessi nell’approcciare chi ci piace, ma non dovremmo fare questo banale errore: da che mondo è mondo nessuno riesce, sempre, a portare a compimento una conquista.
Sappiamo che cercare un partner è un po’ un gioco d’azzardo: ci si deve mettere in gioco, ed accettare il risultato dei nostri sforzi, positivo o negativo che sia, questo risultato.
Anche qui gioca molto il nostro atteggiamento, come spiegavo nella sezione precedente: se noi, per primi, siamo quelli che non crediamo sia possibile conquistare una persona, per la nostra malattia, come pensate interpreti la contro parte, questo vostro atteggiamento?
Di sicuro a nessuno piace una persona insicura, che teme tutto, e tutti. Quindi di certo, per conquistare una persona, dovremo far vedere che malati o no, limitati o no, siamo in grado di dare, e ricevere, affetto, e che non peseremo totalmente sugli altri, nemmeno in una relazione sentimentale: soprattutto in una situazione sentimentale!
Alla base, di tutto, sta la nostra confidenza con la nostra malattia: solo se l’avremo accettata davvero, potremo dare l’impressione di poterci posizionare in una relazione affettiva, senza dipendere totalmente dall’altra persona. Non lo fanno persone con situazione ben peggiori delle nostre, come un non vedente, un non udente, una persona paralizzata in qualche parte del corpo, perché mai dovremmo farlo noi?
A chi cerca una relazione affettiva, non importa se avrete momenti in cui sarete più sofferenti degli altri, quello che importa è che sappiate vivere quei momenti insieme, condividendo i momenti down, con quelli positivi, e non fare mai in modo che quelli più negativi, prendano il sopravvento, rischiando così di rovinare la relazione.
Quindi datevi da fare: mettete ordine nella vostra vita e accettate la vostra malattia, curatevi o ricevete supporto da un terapista del dolore e cercatevi un/a partner!
Condividere il nostro percorso, breve o lungo che sia, in questo mondo è molto meglio che viverlo da soli, ed isolati!
TERZO CASO:
L’insorgere, del dolore cronico, avviene quando abbiamo già una relazione sentimentale, in essere.
Qui le cose possono, e notare ho detto possono e non devono, complicarsi un pochettino. Ammalarsi, e dover stravolgere la vostra vita, e quella di qualcun altro che da, poco o tanto, sta facendo con voi questo percorso nel mondo, può essere difficile, ma non impossibile.
Questa situazione, per esempio, mi ha toccato direttamente. Avevo la mia relazione già in piedi da diversi anni, quando si sono fatti vivi i primi sintomi. L’avevo a fianco quando le cose sonno peggiorate, un po’ alla volta, man mano ogni specialista se ne usciva con il “lei è sano come un pesce!” ed io continuavo a stare male, ed a peggiorare.
È pur vero che avere qualcuno accanto, mi ha aiutato a non buttarmi giù eccessivamente, se non altro per far vedere al mio compagno, che cercavo di reagire, che non mi arrendevo!
Non posso però negare, che man mano la cosa progrediva, mi rendevo conto delle modificazioni di abitudini che stavo, mio malgrado, imponendo al mio compagno. Chiaramente se ne è parlato nel tempo, lui ha sempre detto che non gli importava una beata fava, se non potevamo più andare a camminare in montagna, se io alle 21 crollo sotto l’effetto dei medicinali, per cui non abbiamo più una vita sociale che sia degna di quel nome.
Ho cercato di spingerlo a cercare nuovi amici con cui crearsi una qualche forma di socialità, che potesse essere vissuta anche senza la mia presenza, così da non costringerlo a casa, tutte le sere, e nei fine settimana.
A parte il fatto che lui, in particolare, si sia rifiutato perché ha il suo carattere, chiunque al suo posto avrebbe potuto, ad un certo punto dire: basta, così non vivi tu e non sto vivendo nemmeno io: diamoci un taglio!
Non l’ha mai fatto, né lo ha mai nemmeno pensato, ne sono più che certo. Però non tutte le persone sono come lui, chiaramente, ed ognuno ha il proprio modo di reagire, ad un cambiamento così radicale nel proprio stile di vita, sia esso per motivi personali, che per motivi che arrivino dal proprio partner.
Ecco, io posso definirmi fortunato da questo punto di vista: da quando questa cosa è iniziata, diversi anni dopo che abbiamo avviato la nostra relazione, non ha mai dato segni di non riuscire ad adeguarsi ai vari cambiamenti che, il progredire della mia malattia imponevano a me, per ovvi motivi, ed a lui di riflesso, perché ha deciso di sostenermi, comunque progredisse la mia storia medica.
Eppure la mia malattia, gli ha imposto molte limitazioni: niente uscite il fine settimana con amici, se non in rarissimi casi, niente uscite in montagna a fare una camminata: le mie gambe non me lo permettono. Insomma ha rinunciato a molte sue passioni, per starmi sempre vicino.
La sua vita quotidiana ha preso forma ad immagine della mia: di giorno nei feriali lavora, la sera ci si fa compagnia, sebbene io spesso debba lasciarlo presto, perché i medicinali che prendo, mi portano ad avere un crollo fisico molto presto la sera, per cui passa le ore serali da solo. Vorrei fare altrimenti, ma non posso: né lui mi ha mai fatto pesare questa situazione, in nessun modo, in nessuna situazione.
Così funziona una coppia in cui uno dei due è malato: il malato ha la colonna del proprio compagno a cui appoggiarsi, il compagno cerca di adeguarsi, per vivere insieme la situazione. Vorrei che fosse diverso per lui? Ovviamente si: vorrei potesse avere una vita sociale più movimentata: molte volte gli ho detto di uscire la sera con qualche suo amico o conoscente o collega di lavoro, almeno per svagarsi.
Lui dal canto suo, immagino almeno, trova non giusto uscire a divertirsi, mentre io sono a casa da solo. Insomma nel nostro caso lui si è adattato a vivere una vita in simbiosi con la mia malattia. Non dico certo che questo sia giusto, ma se è una sua scelta, non ho modo di lamentarmene, né ho il diritto di imporgli di cambiare registro, sebbene sono certo che gli farebbe solo che bene.
In una relazione, quando compare una malattia, credo sia normale che il componente sano della stessa, tenda a venire incontro alle esigenze del malato, a dargli una spalla su cui sfogarsi, essere una colonna a cui appoggiarsi. A maggior ragione se il malato, dei due, non trova una spiegazione, ed una soluzione, al proprio malessere.
È vero: molte coppie si sono dissolte al presentarsi di una situazione simile alla mia, ma so anche, per certo, che molte coppie invece hanno aumentato il valore della propria relazione, proprio in seguito alla comparsa della malattia.
Non voglio dire che la comparsa della malattia sia un test per la relazione: sarebbe davvero di cattivo gusto; ma nella realtà dei fatti lo è: più le fondamenta della relazione sono solide, e più sarà facile superare le modificazioni, che la relazione stessa dovrà, inevitabilmente, subire per la comparsa di questo genere di malattia, che si fonda su una una costante presenza di dolore, per uno dei due componenti della coppia.
Se l’altro componente della coppia, però, non dovesse farcela, ad adattarsi al nuovo corso della vita per entrambi, ve lo dico con il cuore in mano, non fategliene una colpa: per esperienza personale so quanto possa cambiare la routine di coppia al presentarsi di una malattia come la nostra.
L’altro componente non deve mai sentirsi obbligato ad adeguarsi al vostro nuovo stile di vita: se gli viene naturale farlo, ok, altrimenti forse la coppia dovrebbe sciogliersi, o le emozioni negative continueranno ad accumularsi e, prima o poi, erutteranno come un vulcano, mettendo a nudo mesi, anni di sopportazione forzata dall’altra parte della coppia. E non è una situazione bella da vivere, posso immaginare.
Per chi è malato, è doveroso rendersi conto che il compagno ha dovuto subire il cambio del proprio stile di vita, pur di starvi a fianco. Per il compagno, ammettere che ci ha provato, ed ha fallito, nel tentare di mantenere la propria posizione di supporto che avrebbe dovuto essere spontanea e naturale. Non si può, però, farne una colpa, se le cose non sono andate in quel modo.
Ogni persona è diversa, ed in quanto tale, tende a reagire alle situazioni avverse in modo unico. Farne una colpa sarebbe una cattiveria pura, che di sicuro una persona che ha condiviso, parte della propria vita con noi, non merita.
Ha il diritto anch’egli di essere felice, e se poterci supportare non lo rende tale, è giusto che prenda la sua strada, e cerchi altrove la sua felicità.
Usare mezzi come il compatimento di se stessi, o minacciare di fare una follia, sono mezzi che non si adattano ad una persona adulta e matura. Anche noi dobbiamo accettare che le cose non vanno sempre nel verso che vorremo; ma questo non ci autorizza ad essere cattivi con chi non riesce ad adattarsi alla nuova situazione, che si è venuta a creare, con la comparsa della malattia.
Anzi proprio perché gli/le vogliamo bene, dovremmo accettare la sua sincerità, nel dirci che non regge la situazione, ed accettare che sia tempo che cerchi altrove quello che gli serve: pensare solo al fatto, che di conseguenza, noi resteremo soli, sarebbe da veri bastardi ed egoisti: e sinceramente una relazione basta sul ricatto morale, davvero non andrebbe vissuta mai.
CONCLUDENDO…
Siamo malati: non morti!!
Abbiamo diritto ad una relazione di coppia, come chiunque altro. Dobbiamo però fare attenzione a diverse cose, a seconda che cerchiamo una relazione o l’abbiamo già:
fare i martiri attira solo persone problematiche, il che non è mai un bene;
se abbiamo una relazione in piedi, dobbiamo cercare di trovare una strada che soddisfi entrambi;
tentare di tenere legato a noi, il partner, con i ricatti morali, oltre che fare di noi dei meschini, renderebbe un inferno, la relazione stessa;
se abbiamo una relazione, e quest’ultima regge la spallata della malattia, ricordiamoci di non scordare mai di chi abbiamo affianco, chi ci sta supportando, chi ci da il proprio amore, pur stravolgendo la propria di vita quotidiana per farlo.
Insomma: essere malati, ed avere una relazione, è una cosa del tutto fattibile.
Ricordiamoci sempre, però, di essere obbiettivi, e mai soggettivi, nel fare considerazioni sul come sviluppa la nostra relazione, se è già in piedi. Se invece stiamo cercando di crearne una, dobbiamo essere sempre sinceri, con la controparte, su come sarà la vita con noi: falsare le prospettive, sarebbe disonesto e porterebbe solo ad un, inevitabile, fine problematica del rapporto.
Insomma: amare è di per sé complicato, già in condizioni ordinarie, non rendiamolo ancora più complesso, mettendoci del nostro, solo per via della nostra patologia!
Se volete una relazione, o volete mantenere in piedi quella già esistente, dovete metterci impegno, lo stesso impegno che tutti devono mettere, per far funzionare una relazione, in qualsiasi modo essa nasca e viva.
J.C.