Meditazione: parola dal significato, per molti, oscura viene definita in tanti modi diversi, Wikimedia riporta, per esempio:
La meditazione (dal latino meditativo, riflessione) è, in generale, una pratica che si utilizza per raggiungere una maggiore padronanza delle attività della mente, in modo che essa cessi il suo usuale chiacchierio di sottofondo e divenga assolutamente acquietata, pacifica. Tradizionalmente, per meditazione si intende la concentrazione della mente in un sol punto, mentre per contemplazione si intende la capacità di lasciar riposare la mente nel suo stato naturale, o totalità. È una pratica volta, quindi, all’auto-realizzazione. Lo scopo religioso, spirituale, filosofico o il miglioramento delle condizioni psicofisiche, nella meditazione, sono una scelta prettamente personale.
La cosa che reputo più interessante è il fatto che la meditazione può essere affrontata in due modi, sempre Wikipedia descrive così le tue metodologie principali:
Nell’ambito della psicosintesi la meditazione è definita uno stato della coscienza che può essere ottenuto mediante l’indirizzamento volontario, della nostra attenzione, verso un determinato oggetto (meditazione riflessiva) oppure mediante la completa assenza di pensieri (meditazione ricettiva).
Nella meditazione riflessiva, l’oggetto della meditazione può essere qualsiasi cosa. In genere, nella pratica, vengono utilizzate visualizzazioni di elementi che riguardano il mondo interiore o di semplici oggetti, per raggiungere un maggiore stato di concentrazione e di ponderazione. Questo è un tipo di meditazione usato spesso dalla cultura occidentale.
La meditazione ricettiva ha, come scopo, l’assenza di pensieri e permette alla mente di raggiungere un livello di “consapevolezza senza pensieri”, ovvero libero dall’attività psichica dell’essere umano, talvolta caotica e confusionaria. È un tipo di meditazione tipica di numerose filosofie, e religioni, orientali. Entrambe queste tipologie di meditazione richiedono fasi di concentrazione.
Ok, una breve, ma secondo me chiara a sufficienza, definizione delle due grandi scuole di pensiero sulla meditazione. Più avanti, nella pagina wikipedia da cui ho estratto le definizioni, si parla della necessità, per molte pratiche di questo tipo, di una guida, una figura in grado di mettervi sulla giusta strada ed accompagnarvi nella prima parte del vostro cammino di meditazione. Quello che non viene evidenziato con sufficiente attenzione, secondo me, e che la guida deve avere un solo scopo: portarvi ad un punto dal quale proseguirete, il vostro cammino meditativo, da soli.
Se è vero che, iniziare a meditare senza una guida, può portare a situazioni in cui si perde tempo, ci si annoia, ci si distrae ed alla fine si lascia perdere, avere una guida che non ha in mente il proprio scopo, ossia portarvi a meditare da soli, può essere altrettanto deleterio!
Oggi voglio parlarvi proprio della figura della guida. Una guida per la meditazione deve avere, a mio parere, una caratteristica fondamentale: deve essere fortemente empatico; se manca l’empatia, la guida a mio avviso, non può aiutare nessuno a meditare, ed a trovare, la propria via per imparare a conoscersi meglio. Perché diciamocelo: lo scopo primario, di chi inizia a meditare, è quello di cercare di conoscere se stessi da diverse angolazioni, scavare a fondo in se stessi, per trovare le radici del proprio modo di essere, proprio nel momento in cui decide di meditarci sopra. Se una guida non è empatica, come può pretendere di aver capito quali sono le necessità di chi si appresta a meditare?
C’è da precisare, anche, la differenza tra un analista —psicologo o psichiatra che sia— ed un empatico. I primi sono persone che hanno studiato, hanno fatto apprendistato, hanno fatto pratica nello studiare il comportamento del cervello ed il comportamento dell’umano, per arrivare ad aiutare le persone bisognose, a trovare la strada per uscire da certe situazioni (non me ne vogliano i professionisti per la semplificazione estrema della definizione); un empatico non studia, non fa apprendistato, non fa pratica: semplicemente ha la dote, naturale, di riuscire a percepire lo stato d’animo delle persone, al di là di quello che le persone ci permettano di vedere.
Non fraintendetemi: un empatico non è uno stregone o un mago dai poteri strani. È solo una persona nata con questa facoltà. Il come l’abbia avuta ed il perché ce l’abbia, non è dato saperlo, e che io sappia, sino ad oggi, non ci sono studi più o meno scientifici, atti a spiegare perché un empatico nasca tale.
In quanto empatico posso dirvi, senza tema di essere smentito, che la quotidianità di un empatico può non essere affatto piacevole, specialmente se si trova a dover stare in mezzo alla gente, suo malgrado. Perché una cosa che pochi considerano è che un empatico non lo è verso una specifica persona, ma sente lo stato di chiunque gli stia intorno. È vero che, con il passare degli anni e la presa di coscienza di questo nostro stato, impariamo ad isolarci, così da non essere assillati costantemente da chi ci passa vicino, ma ci vuole tempo, o meglio serve, prima, capire che diamine ci succede, poi capire come risolvere il problema, ed infine, mettere in pratica tutte quelle misure, che riescono a far tacere, nella nostra mente, tutte stati d’animo che gli hanno e che trasmettono involontariamente, quando ti passano accanto.
Chiaramente per offrirsi come guida nella meditazione, oltre ad essere un empatico, la persona deve praticare la meditazione da molto, molto tempo. Questa è la seconda cosa necessaria per potersi offrire come guida nella meditazione: se non avete esperienza, voi che vi offrite come guida, come diavolo pensate di aiutare, chi ne ha bisogno, ad imparare a farlo?
Fin qui abbiamo riassunto le condizioni basilari, affinché una persona possa scegliere una guida adatta, per iniziare a meditare; attenzione però: non esistono solo i due metodi spiegati all’inizio del post —meditazione riflessiva o ricettiva— in realtà esistono mille metodi diversi per meditare, ed ognuno nella propria esperienza è, sia inizialmente allievo, che in un secondo tempo maestro, perché apporta delle modifiche al metodo usato, non perché si debba fare; questo succede perché la meditazione può essere intesa come una cosa vivente: cresce, e si sviluppa, e si adatta ai giorni in cui viene utilizzata.
Esistono, poi, metodi non ortodossi: ossia che se cercassimo di incasellarli sotto una delle tante definizioni sulla meditazione, non troveremo un posto dove piazzarlo il metodo specifico usato da una persona.
Prendo me stesso come esempio, e chi ha fatto meditazione con me si riconoscerà sicuramente nella descrizione che sto per fare. Pratico la meditazione guidata, intesa come guida per altri, da molti anni ormai, e mi è capitato di aiutare persone che hanno imparato consapevolmente a meditare, su mio suggerimento, o su suggerimento di altre persone, e persone che non si sono nemmeno rese conto di aver imparato a meditare, ma che continua nel tempo a farlo. Direte voi, che senso ha, far meditare qualcuno se non se ne rende conto —cosa per altro che suona molto strana, ma fidatevi: è così— in che modo questo metodo può aiutare le persone?
La risposta è, in relativo, semplice: se voi dite ad una persona che non ha la minima idea di cosa voglia dire: «Da oggi cominciamo a meditare.» La persona in questione, quanto meno, vi manda a quel paese, perché sicuramente ha il concetto di meditazione classico acquisito dall’occidentale, ossia ore seduti immobili, magari a ripetere ‘ohhhhmmmmmmmmmmmmm’. La sola idea annoierebbe anche me, figuriamoci una persona che ha questo concetto della meditazione!
Inoltre se proponete a qualcuno di meditare, nonostante in quanto empatico sentiate che ne abbia bisogno, perché è un momento particolare della sua vita in cui le cose sembrano tutte andare per il verso sbagliato pur essendo, loro, convinti di fare tutto nel verso giusto; quella persona, ripeto, minimo vi manda a quel paese. Se, inoltre, la persona in questione non sa della vostra pregressa esperienza, nel fare da guida, sarà ancora più sulla difensiva, perché penserà che sta mascherando male quello, che non vorrebbe gli altri capissero del suo, di stato d’animo attuale. In questi casi proprio per spezzare quel ciclo che blocca chi è in un momento no, applico la messa in pratica della correzione, al prima citato, non fai, non ottieni.
Ho l’esperienza, e la pratica —oltre alla mia empatia— dalla mia, necessaria per capire che un metodo tradizionale non sarebbe efficace, per cui utilizzo sistemi non ortodossi. Niente affermazioni del tipo: «Dai adesso ti insegno a meditare.», niente «Devi imparare la meditazione o resterai bloccato nella situazione in cui sei;» ma soprattutto niente «Sai, io sono un maestro di vita, per cui ti risolverò, come per magia, tutti i problemi che ti attanagliano la mente e l’anima sottraendoti energie interiori!» Nessuna di queste affermazioni avrebbe fatto effetto sul 99% delle persone che ho aiutato, anzi avrebbe ottenuto l’effetto contrario, ossia di far mettere sulla difensiva la persona, in quanto entrava nello stato d’animo della persona beccata a cercare di nascondere i propri problemi. Badate bene non è il fatto che abbiano dei problemi a farli scappare, ma il fatto che si rendano conto che, con me, le varie tecniche di mascheramento, del proprio stato d’animo, non funzionano!
Nella stragrande maggioranza dei casi, questa metodologia non ortodossa, ha funzionato. In cosa consiste? Fondamentalmente nel parlare, parlare, parlare e parlare ancora. Guidare, parlando, la persona a percorsi di analisi che sarebbero poi quelli che si applicano durante la meditazione. Porto la persona a inquadrare il problema, ad analizzarlo, e soprattutto ad analizzare le varie strategie per correggere l’origine del problema, con una qualche azione correttiva.
Cosa mi fa sapere quale sia la strategia giusta? Beh chiaramente il mio essere empatico: in questo specifico tipo di situazione aiuta parecchio. Quando, parlando, si testano le varie soluzioni, sento se la persona e più serena ad accettare una metodologia, rispetto ad un’altra. Nel tempo, poi, verifico sempre, attraverso l’empatia, se la strategia stia funzionando o meno e, se non funziona, allora devo:
portare di nuovo la persona ad analizzare il presente;
cosa è successo applicando la strategia decisa;
perché non ha funzionato;
cosa modificare per far si che funzioni.
Chiaramente lo scopo finale e far sì che questa lista di punti migliori il suo stato d’animo e gli permetta di vivere più serenamente, giorno per giorno, affrontando le sfide che la vita gli riserva: non come se fosse sempre l’ultima sfida della sua vita, ma come se fosse una delle tante sfide, che la vita gli propone e che possa, come è riuscito sino ad ora a fare, con il mio aiuto, vincere.
So che a parole è tutto bello, tutto semplice, tutto facile: nella realtà non è così però. Un empatico deve soffrire le pene della persona che vuole aiutare, per riuscire a trovare la giusta via. Deve poi gioire con lui delle sue vittorie, e penare con lui delle sue, temporanee, sconfitte. Potrei arrischiarmi a dire che deve temporaneamente entrare in uno stato simbiotico con la persona che vuole aiutare: fidatevi, non è semplice.
«Chi te lo fa fare?» Mi hanno già domandato molte volte. Nessuno in realtà: ma lo stato che vivo quando finalmente la persona, prima, comincia a viversi meglio, e secondo, solo per elencazione e non per importanza, impara a camminare con le proprie gambe è di totale soddisfazione per un lavoro che reputo, e chi lo ha vissuto con me di solito concorda, ben fatto!
Conclusione di questa chiacchierata: che dire? Sicuramente meditare aiuta ad alleviare molti malanni: si è più lucidi, più obbiettivi, più reattivi; soprattutto si impara che non si è mai appreso abbastanza, su noi stessi, ed il mondo con il quale ci rapportiamo tutti i giorni.
Ogni giorno porta nuove sfide, anche in tarda età, e saperle affrontare, e gestire, piuttosto che subirle, anche a detta di chi ha fatto questo percorso con me, da una soddisfazione non indifferente, in quanto ci fa sentire più sereni nei confronti della vita in generale.
D’altronde chi vorrebbe subire la vita, invece di viverla pienamente?
J.C.